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“Uneasy lies the head that wears the crown”

(2 HENRY IV-III- W.Shakespeare)

 Riprendendo le fila del discorso…

Come avrete facilmente intuito, ho deciso di abbandonare, per questa prima recensione autunnale, il genere romanzesco e di ricominciare le attività della nostra rubrica precipitando consapevolmente (e, si spera, senza esiti disastrosi) in uno dei massimi classici della Letteratura.

Di Shakespeare tanto si è detto, tanto si è scritto, ma soprattutto, dopo tanti e tanti anni - secoli, per la verità!, tanto ancora continua a essere messo in scena, in tutti i teatri e i cinema del mondo.

Premetto che, in generale, leggere i testi teatrali non è mai, per me, molto facile od immediato. Trovo che non siano coinvolgenti come i romanzi, ma che non avrebbe neppure senso leggerli con la critica concentrazione necessaria per affrontare le opere di saggistica o le cronache, a pena di uccidere il dinamismo delle vicende e dei personaggi.

Specialmente lui, poi, il celebre Bardo, ha una scrittura talmente proiettata verso la rappresentazione teatrale, che la bellezza di certi suoi versi si riesce a percepire appieno solo nel momento in cui li si ascolta, recitati su un palcoscenico o in qualcuno dei meravigliosi film prodotti e trasmessi dalla BBC.

 Per esempio, nel caso del verso in appendice, esso è contenuto nel dramma storico “Enrico IV- parte seconda” del 1598, che compone, insieme ad altre tre opere (“Riccardo II” e “Enrico IV- parte prima”, a precederlo; “Enrico V”, a chiudere) il ciclo shakespeariano cosiddetto dell’ Enriade … sebbene, a voler pignoleggiare, il primo re del ciclo non si chiami Enrico, ma Riccardo.

Questa tetralogia è stata oggetto di una recente, fenomenale miniserie televisiva inglese intitolata “The Hollow Crown (letteralmente, la corona vuota), composta di quattro film, fedelissimi sia ai testi shakesperiani, sia all’ambientazione storica delle vicende, sprofondate in Inghilterra in una manciata di anni alla fine del Medioevo (Riccardo II muore nel 1400, Enrico V nel 1422).

Ammetto che forse i registi hanno imbrogliato un po’ sul taglio di capelli di Enrico V durante la battaglia di Agincourt, perché l’attore (Tom Hiddleston, che è semplicemente, ehm, una creatura perfetta) non porta l’infame pettinatura a scodella del celebre re guerriero.

Poco male.

Nel film, la nostra citazione è pronunciata da Jeremy Irons, che veste i panni di Enrico IV e  che si aggira per i lugubri corridoi di Palazzo tormentato, in quegli ultimi anni di regno, dalle inquietudini di governare un Paese scosso dalla ribellione dei nobili del Nord, minacciato dai soliti scozzesi, in lite coi più-che-soliti francesi, senza la confortante presenza al suo fianco di un erede al trono su cui poter fare affidamento.

L’erede in verità ci sarebbe pure, ma il principe Hal (delle cui future glorie il povero padre ovviamente nulla può sapere) al momento preferisce passare il suo tempo nelle bische londinesi, a sbevazzare in compagnia di quel cinico buffone di John Falstaff.

Le complesse vicende di questi sovrani inglesi (di cui si fa un po’ di fatica a tenere il filo, se non altro per il fatto che si chiamano tutti nello stesso modo) hanno luogo tra la fine della Guerra dei Cent’anni e l’inizio della Guerra delle due Rose.

Si tratta di un periodo burrascoso e instabile, nel corso del quale si stagliano figure più celebri al grande pubblico, quali Riccardo III e i poveri principini nella Torre (oggetto di uno dei drammi shakesperiani che prediligo in assoluto) e da cui, alla fine, emergeranno quei pazzi squilibrati dei Tudor.

Non che Shakespeare potesse ammetterlo a viso aperto, però, dato che la regina Elisabetta era uno dei suoi migliori committenti.

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