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Attraverso l’abrogazione della salvaguardia garantita dal reintegro nel posto di lavoro, contemplata nell’articolo 18 della legge 30 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei Lavoratori), infatti, il rampante Presidente, coadiuvato dagli imberbi ed evanescenti componenti del suo Governo, ha aggredito, con una violenza senza precedenti, la dignità dei lavoratori italiani e le legittime speranze di precari e disoccupati già condannati e provati oltre misura dalla polita della flessibilità degli ultimi anni.

Sostituire l’efficace tutela costituita dal reintegro nel posto di lavoro, in caso di licenziamento ingiustificato (in quanto privo di giusta causa o giustificato motivo), con l’inadeguata misura dell’indennizzo, significa privare il contraente più debole del parificatore sostegno statale e riportare il rapporto di lavoro ai primi anni del novecento (altro che modernità! Lo spettro di Bava Beccaris è sempre più incombente).

La vigile attenzione di tutti gli italiani, quindi, non deve essere puntata sulla valutazione dell’opportunità o meno dell’applicazione del Job’s Act ai dipendenti pubblici in ragione della privazione dei diritti per tutti, bensì sull’estensione dell’articolo 18, come formulato nel 1970, a tutti i contratti di lavoro dipendente (anche ai lavoratori impiegati presso imprese che occupino meno di 15 dipendenti).

A tale proposito, credo che da Sergio Cofferati dovrebbe provenire un sincero mea culpa, atteso il mancato sostegno della CGIL, quando ne era segretario, al referendum promosso dalle Associazioni Sindacali di Base e mirato proprio all’allargamento del campo di applicazione dell’articolo 18 a tutti i lavoratori.

L’unica concepibile eccezione, eventualmente, potrebbe essere accolta per gli artigiani in ragione del lungo tempo che richiede la formazione di un valido artigiano e della scarsa convenienza del datore di lavoro a privarsene, senza un’importante ragione, una volta formato.

Naturalmente il Presidente del Consiglio, impegnato a difendere l’indifendibile (ossia che una situazione di grave ingiustizia non debba essere contrastata da un’efficace intervento riparatore), si precipita demagogicamente e attraverso twitter (strumento privo di qualsiasi minima possibilità di approfondimento), in qualsiasi situazione possa essere utile per confondere i confini dell’operazione che sta compiendo e per riuscire ad infrangere il fronte di comuni interessi (lavoratori privati, lavoratori pubblici, lavoratori precari pubblici e privati, disoccupati, studenti) che naturalmente si dovrebbe comporre per contrastarlo.

La misura dell’indennizzo (massimo due annualità) che dovrebbe sostituire il reintegro è poco onerosa per l’imprenditore ma disastrosa per il lavoratore e la sua famiglia e rischia di riprodurre, a distanza di secoli, situazioni analoghe alla schiavitù.

A nessuno, infatti, sarà sfuggito che quando non esistono garanzie legali, come di recente accaduto nei confronti di alcuni immigrati clandestini, qualsiasi tipo di prevaricazione, anche la più abietta, trova cittadinanza trova cittadinanza.

Donne costrette a concedersi ai padroni ed ai caporali per poter lavorare in nero, uomini impiegati nei campi o, comunque, in lavori pesantissimi per intere giornate, retribuiti con elemosine. Il campionario, purtroppo, potrebbe essere ancora lungo.

Il danno prodotto da queste situazioni, peraltro, non è limitato a chi le subisce direttamente ma, al di là di qualsiasi considerazione etica e dell’indubbio imbarbarimento dei costumi che provoca nell’intera società, investe il settore produttivo (determinando condizioni di concorrenza sleale che premiano i malfattori e svantaggiano gli imprenditori onesti), quello sanitario (producendo una massa di soggetti che, pur lavorando, accedono ad un’assistenza pubblica gratuita con gravissime ripercussioni sui costi che questa deve sopportare e sull’efficienza che può garantire), quello commerciale (in quanto riduce l’ambito di distribuzione del reddito e determina un calo dei consumi dannoso, qualora non letale, per i piccoli imprenditori che non hanno possibilità di esportare) e quello dei “rapporti” in ambito UE e con altri potenti soggetti internazionali che misurano il nostro rapporto deficit/PIL (ridotto a causa di redditi e profitti non dichiarati) e sono capaci di imporre sacrifici insostenibili alle popolazioni.

E’ chiaro che un progetto del genere, qualora attuato, determinerà il venir meno del Patto Sociale che costituisce il fondamento e regola la convivenza nelle società civili e democratiche da noi conosciute negli ultimi anni.

Quale interesse potrebbero avere ora i lavoratori lasciati in balia dell’arbitrio dei datori di lavoro (ma si potrà nuovamente parlare con piena cognizione di causa di padroni) a garantire, ad esempio, la sicurezza sociale ed a sostenere un sistema che salvaguarda la ricchezza di pochi, infrangendo i sogni e le aspettative della stragrande maggioranza di cittadini e delle famiglie italiane? Quali prospettive di conseguire un minimo di stabilità (base essenziale per garantire l’efficacia di una qualsiasi progettualità) potranno più avere i precari e gli studenti già prostrati da anni di sofferenze e ricatti?

Non si è accorto l’Affabulatore fiorentino che sta ponendo le basi per la ripresa di una lotta di classe in Italia dagli esiti imprevedibili? Riesce a “star sereno” Matteo Renzi? Non ritiene che il prezzo pagato ad Angelino Alfano in cambio del sostegno al Governo (e per allontanare il rischio rappresentato per lo status quo da una possibile affermazione dei “cinquestelle”) sia eccessivamente salato per il Paese (anche per gli stessi imprenditori)? In quale società ha vissuto, negli ultimi anni, per non capire che le ragioni peculiari che aggravano la crisi dell’Italia affondano le proprie radici nella corruzione e nella mancanza di prospettive? Provi a chiedere alle operaie asserragliate nelle miniere della Sardegna quale ottimismo si può avere quando si vive di lavoro e si rischia di perderlo (senza considerare quello già prestato e non pagato). Crede davvero che la collettivizzazione della precarietà sani i problemi nazionali anziché acuirli?

Certo, nelle innumerevoli interviste rilasciate, il Presidente del Consiglio ha ripetuto continuamente che non si può prescindere dal punire inflessibilmente i corrotti e che essi devono essere allontanati definitivamente dalla pubblica amministrazione….peccato che, allo stesso tempo, concordi le riforme del fisco, della giustizia e, addirittura, le riforme Costituzionali con un condannato in via definitiva per evasione fiscale (per sottrazione di risorse, quindi, al bene pubblico). Le misure che dovrebbero (giustamente) essere adottate contro i pubblici dipendenti corrotti non si capisce per quale motivo non debbano valere per gli esponenti politici (dipendenti pubblici di massimo grado che, una volta eletti, sono al servizio della Repubblica ed assoggettati alle Sue leggi). Staremo a vedere, in proposito, se gli astuti tentativi di depenalizzare il reato commesso dall’ex presidente del consiglio e di mondare quest’ultimo attraverso l’applicazione del principio del  favor rei si avvarranno della “distrazione” del Presidente del Consiglio in carica.

Matteo Renzi non può illudersi, ignorando anche l’illuminato monito di Papa Bergoglio circa l’impossibilità per una società di prosperare senza giustizia e senza che sia tutelata la dignità del lavoro e dell’uomo, che il divide et impera (lavoratori pubblici contro lavoratori privati, giovani contro anziani, precari contro lavoratori a tempo determinato, lavoratori in servizio contro pensionati, cittadini del nord contro quelli del sud, etc.) possa, in un momento tanto delicato e disperato come l’attuale, sortire i suoi nefasti effetti. Anche gli imprenditori e le loro Associazioni di categoria, peraltro, dovrebbero capire che la recisione dell’ultimo caposaldo del Patto Sociale potrebbe ripiombare su di loro come un boomerang, privandoli completamente, oltre che dell’illusione di un potere assoluto che sembra inebriarne alcuni, anche di quello di cui dispongono attualmente.

Nessuno vuole negare gli improduttivi sforzi che il Presidente del Consiglio sta compiendo, in ambito europeo, per cercare di far ragionare i Paesi dominanti e di condurli, anche sull’esempio dei brillanti risultati ottenuti dal Presidente Obama negli Stati Uniti, ad adottare una politica ispirata, in ragione della congiuntura, ai principi keynesiani ed improntata ad avveduti investimenti pubblici, tuttavia, è impensabile che possa ottenere positivi risultati esortando il Paese all’unità e, al contempo, producendo una profonda frattura fra le diverse componenti della società.

L’unica condizione che, forse, potrebbe consentire un superamento della tutela costituita dall’articolo 18 della Legge 300 del 1970 (e dalla cassa integrazione che potrebbe essere mantenuta solo per la riqualificazione professionale), è rappresentata dall’introduzione di un adeguato reddito di cittadinanza per finanziare il quale si potrebbero raccogliere le risorse provenienti da diversi ammortizzatori sociali e, probabilmente, dalla stessa sanità pubblica.

Considerata, però, l’attuale politica governativa, il troglodita, nella sua ingenuità e primitività, ritiene di dover provare a suggerire alcune linee di lotta che potrebbero contenere il conflitto all’interno di  binari democratici e di legittimità e magari essere efficaci.

Nell’invitare quanti le condivideranno ad attuarle ed a segnalarle ad altri interessati, l’antico uomo fissa con loro, sul presente spazio dell’Associazione Culturale PARTECIPAZIONE, l’appuntamento per dare il via insieme alle iniziative nei giorni immediatamente successivi all’approvazione dei decreti delegati del “job’s act” (c’è il fondato sospetto che il Presidente del Consiglio, che con pervicace ipocrisia, continua a propugnarsi paladino dell’italianità nel mondo, provi vergogna a definire la riforma del lavoro che sta adottando nella Lingua madre).

1)      i lavoratori (e gli imprenditori illuminati) esercitino pressioni (minacciando l’eventuale cancellazione) sui sindacati di appartenenza affinché concordino delle date uniche nelle quali procedere alla mobilitazione di tutte le componenti sociali (lavoratori a tempo indeterminato, lavoratori a tempo determinato, lavoratori in nero, disoccupati, pensionati, studenti) in difesa di un unico obiettivo “la salvaguardia dell’articolo 18, come formulato nella Legge 300 del 1970 ed estensione della sua applicazione a tutti i contratti di lavoro”;

 

2)      pronuncia di un “giuramento” nel quale dichiarare l’impegno solenne (che dovrà essere mantenuto) a non votare alle prossime elezioni politiche (nazionali ed europee) ed amministrative per candidati di qualsiasi partito abbia approvato, in una misura superiore al 20% dei suoi componenti, l’abolizione/limitazione (estrema) della misura del reintegro dall’articolo 18 della Legge 300 del 1970 (meglio se il giuramento, corredato dal motivo, sarà comunicato, via mail o per posta ordinaria, ai partiti per i quali ci si impegna a non votare);

 

3)      illustrare in tutte le sedi ed occasioni i reali contenuti della riforma e precisare quali siano gli effettivi interessi comuni condivisi da lavoratori pubblici, lavoratori privati, precari, lavoratori in nero, disoccupati, pensionati e studenti;

 

4)      verificare immediatamente le condizioni per avviare la raccolta delle firme necessarie per indire un referendum che abroghi le modifiche all’articolo 18 apportate dalla c.d. “legge Fornero”, dalle misure in via di definizione e delle disposizioni, scritte nel 1970, che limitavano l’eventuale applicazione giurisprudenziale della misura del reintegro, ai soli lavoratori impiegati presso impianti con più di 15 lavoratori;

 

5)      impegno a ridurre immediatamente i propri consumi e ad acquistare solo quanto strettamente necessario alla vita quotidiana;

 

6)      escludere i prodotti delle imprese che sostengono la politica governativa (e, in particolare, l’abrogazione/limitazione del reintegro di cui all’articolo 18 della L. 300 del 1970) dai propri acquisti.

 

Il troglodita è certo, infine, che gli spazi dell’Associazione resteranno aperti per registrare le adesioni od i suggerimenti per altre forme di resistenza democratica o per sviluppare maggiormente il dibattito (magari sul blog: associazioneculturalepartecipazione.blogspot.com).

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