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In questi giorni, gli italiani dotati ancora del sentimento di eguaglianza e del rispetto della persona umana, capaci di indignarsi contro la stupidità e l'arroganza e di turbarsi per la sofferenza dei propri simili, si sono commossi di fronte al suicidio del ragazzo gay, quindicenne, schiacciato dagli insulti e dal dileggio dei vigliacchi che, nascosti, di volta in volta, dall'anonimato di internet, da cappucci o dalle tenebre, cercano di costruirsi, stoltamente, un'identità che li emancipi dalle secche della propria pochezza.

Volutamente non ho mai citato il termine "tolleranza" usato, da molto tempo, a sproposito. Colui che tollera è qualcuno che subisce e sopporta. Nel caso di specie, il genere di appartenenza non conferisce alcuna posizione, esclusiva o privilegiata, dall'"alto" della quale poter "tollerare" gli altri. Un Gay dovrà essere tollerante con gli altri gay, con i trans e con gli etero, esattamente come ciascun etero dovrà esserlo con gli altri, del suo stesso, o di genere diverso. Qualsiasi combinazione di convivenza civile comporta un tasso di sopportazione reciproca.

Il Capo dello Stato, le Autorità nazionali ed il mondo della politica hanno giustamente condannato, per l'ennesima volta, l'accaduto. Viene da chiedersi, tuttavia, per quale motivo e di chi siano le responsabilità se una legge contro l'Omofobia non sia ancora stata varata nel nostro Paese. Meglio, del resto, non è andata, finora (ma una legge contro il "femminicidio" sembra che sia in dirittura di arrivo), alle donne (oltre 100 morte in un anno per mano dei propri partner), né ai lavoratori (la stampa registra, ormai spesso in trafiletti, diverse morti "bianche" giornaliere), pur senza dover rammentare ii suicidi o le "distruzioni" della persona dovute, in grande misura, all'avidità nazionale ed internazionale.

Il quadro che se ne ricava, è quello di un Paese retorico, sostanzialmente cinico ed indifferente, nel quale "la ricchezza è un valore" (affermazione del professor Mario Monti che, ovviamente, andrebbe contestualizzata) ma le condizioni dei "deboli", o la loro stessa vita, sembrano esserlo molto meno. Per anni abbiamo subito una logica distorta del merito, ove, quest'ultimo, non è stato inteso come riconoscimento delle qualità personali, dell'onestà, delle capacità, dello spirito di servizio verso la collettività e dell'impegno, bensì come "successo" che si realizza nella sopraffazione su altri competitori. Per troppo tempo abbiamo dimenticato che, a ciascun "vincente", corrispondono molti "perdenti" (che magari pur non essendo il Top, termine odioso, svolgono apprezzabilmente ed onestamente il proprio lavoro) e nessuno si è preoccupato adeguatamente della loro sorte.

Quale buon padre, non si preoccuperebbe, soprattutto, del figlio che versa in un maggiore stato di necessità? Quale valido genitore non cercerebbe limitare la presunzione e l'arroganza di un figlio abituato sempre a vincere? Al di là della retorica, è necessario non dimenticare che il fondamento di uno Stato risiede in un tacito patto sociale tra i componenti di esso. Se tale rapporto risulta eccessivamente sbilanciato, non si capisce per quale motivo gli svantaggiati dovrebbero continuare a garantire condizioni di tranquillità e di pace.

Le responsabilità del suicidio del quindicenne, quindi, non possono ricadere solo sui beceri imbecilli, cavalieri (senza onore) del nulla (alcuni dei quali giovani e vittime, anch'essi, di cinismi ben più scaltri ed occulti), che lo hanno angustiato, ma, sicuramente, coinvolgono l'inerzia della "politica" e la pigra indifferenza di una collettività assopita e malata. Non è possibile che a questo sconvolgente evento non segua un impegno preciso, in termini di contenuti e tempi, per l'adozione di una legge specifica.

Allo stesso tempo, credo che sia urgente sottoscrivere l'appello lanciato da Avaaz-org contro l'introduzione, in Uganda, della pena di morte, per il reato di omosessualità. L'Associazione Culturale PARTECIPAZIONE ha sottoscritto, questa mattina l'appello ed invita i lettori a fare subito altrettanto. Occupare qualche minuto della nostra vita per firmare l'appello digitale, può significare salvare quella di alcuni nostri simili.

Riteniamo che sia una fatica sostenebile per la posta che è in gioco?

Peraltro, ci farebbe piacere essere sorpresi da una "classe politica" (anche se, ad esempio, ricordando l'impegno di Emma Bonino, non è possibile fare di tutta l'erba un fascio) che intervenisse, utilizzando i propri canali diplomatici, sull'Uganda, per dissuaderla dal varare una legge ingiusta ed inumana.

Di seguito, un estratto dell'appello di Avaaz-org.

                                                                              Gianfranco Serio

Cari Amici,

il Parlamento Ugandese vuole approvare una legge brutale che potrebbe introdurre la pena di morte per il reato di omosessualità. Se lo faranno migliaia di ugandesi potrebbero essere uccisi o condannati all'ergastolo soltanto perché gay.

Già in passato siamo riusciti a fermare questa legge e possiamo farlo ancora.
Dopo l'enorme appello globale dell'anno scorso, il Presidente ugandese Museveni aveva bloccato la legge. In Uganda il malcontento nei confronti della politica sta crescendo, e gli estremisti religiosi in Parlamento sperano che la confusione e la violenza che regnano nelle strade, possano distrarre la comunità internazionale e far passare inosservato il tentativo di adottare questa legge piena d'odio.

Possiamo dimostrare che il mondo ha ancora gli occhi puntati su di loro.
 Non abbiamo tempo da perdere. Raggiungiamo un milione di voci contro la legge anti-gay in Uganda nelle prossime 24 ore. Le consegneremo ai leader ugandesi e a dei Paesi chiave che li possano influenzare.

Per entrare in azione, vai su:

http://www.avaaz.org/it/uganda_stop_gay_death_law/?bPGuVbb&v=19431

clicca e gira la mail ai tuoi contatti.

 

 

 

 

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