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Peter Norman, ovvero quando chi arriva secondo in pista è primo nella vita

Nel corso dell’iconico anno 1968 sono successe cose che non si possono dimenticare, anche a provarci: il maggio francese, il massacro di My Lai, l'assassinio di Martin L. King e di Robert Kennedy, la fame nel Biafra, i carri armati sovietici a Praga, il massacro della Plaza de Las Tres Culturas a Città del Messico, poco prima dell’inizio delle Olimpiadi.

E di quelle Olimpiadi uno dei fotogrammi più famosi è quello in cui Tommie Smith e John Carlos, due velocisti statunitensi afro-americani, sul podio dei 200 metri, protestano silenziosamente contro la discriminazione razziale nel loro Paese. Con i pugni alzati, guanti neri (simbolo del potere nero), piedi nudi (marchio di povertà), una collana di piccole pietre sul collo ("ogni pietra è un uomo nero che ha combattuto per i diritti ed è stato linciato"), questa immagine è entrata nell'immaginario collettivo.
Tommie Smith arrivò per primo, Carlos terzo; su quel podio, Peter Norman, bianco australiano, era sul secondo gradino. Norman, in solidarietà con i due atleti afroamericani, indossava la coccarda del Progetto olimpico per i diritti umani.
Per gran parte del "sistema" di allora la cosa fu inconcepibile. Scesi dal podio, la loro carriera finirà e la vita sarà un inferno per tutti e tre. I due neri, squalificati a vita dalla Federazione statunitense, trovarono lavoro, uno lavando auto e l'altro come scaricatore di porto; furono continuamente minacciati dai suprematisti bianchi (la moglie di uno dei due arrivò a suicidarsi).
E Norman? Dopo l'attività competitiva, si è interessato al campo dei diritti civili, ma non ha lasciato il mondo dell'atletica. I media australiani lo hanno condannato violentemente per quello che ha fatto durante la cerimonia di premiazione a Città del Messico ed è stato continuamente boicottato dai dirigenti sportivi del suo Paese. Si è qualificato per 100 e 200 metri per i Giochi Olimpici di Monaco nel 1972, ma è stato escluso (l'Australia ha preferito non inviare alcun velocista a quella edizione dei Giochi, pur di non mandare lui). Peter Norman rimane comunque il miglior velocista australiano di sempre ed il tempo registrato proprio in quella gara a Città del Messico è ancora record australiano.
Norman era un professore e morì a Melbourne, nel 2006, all'età di 64 anni, a causa di un attacco di cuore; Smith e Carlos (che ormai sfiorano gli 80 anni) hanno attraversato mezzo mondo per salutare il loro amico per l'ultima volta e per portare la  bara al funerale. 
Per lui i riconoscimenti sono arrivati fuori tempo massimo, però sono arrivati: nel 2012 il Parlamento australiano* ha approvato una dichiarazione di scuse nei suoi confronti.

La segregazione razziale non era certo un problema di Norman (fisicamente, era un anglosassone puro), ma era un problema per Norman. Non si è voltato dall'altra parte; poteva solo assistere alla protesta, ma ha preferito parteciparvi attivamente. Immaginava quello che gli sarebbe successo dopo? Probabilmente no, ma non credo che ciò lo avrebbe fermato: Norman credeva nell'uguaglianza dei diritti e degli esseri umani ed ha voluto dimostrarlo con i fatti e non solo con le parole, ecco tutto.

 

 *ricordiamo che, in passato, anche i Governi australiani non sono stati teneri con gli Aborigeni

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